Quante volte ognuno di noi si è trovato a chiedersi se l’ansia che stava sperimentando fosse giusta o sbagliata? Se fosse adeguata alla situazione o troppo intensa? Se si stesse ripetendo con troppa frequenza e non fosse il caso quindi indagarla più a fondo, o forse si sarebbe saputo aspettare che passasse da sola?
Per dare risposte a queste domande partiamo da qualche definizione.
Il dizionario definisce l’ansia come “il particolare stato d’incertezza e di timore, che può riguardare specifici oggetti o eventi oppure può non averne alcuno riconoscibile, e che può essere accompagnato nei casi più gravi da disturbi vasomotori e da penose sensazioni viscerali”.
Definizione, quella della Treccani, non lontana da quella che ne dà l’Associazione Psicologica Americana (APA): un’emozione caratterizzata da sentimenti di tensione, pensieri preoccupati e cambiamenti fisici come l’aumento della pressione sanguigna.
Oltre le definizioni, però, in generale, ognuno può dire di aver vissuto l’ansia come una sensazione di inquietudine, nervosismo o disagio per eventi che hanno un esito incerto oppure come un forte desiderio o una preoccupazione di fare qualcosa o che accada qualcosa.
Tuttavia, per quanto l’ansia sia una emozione comune, diffusa e utile in molte circostanze della vita per spingere la persona a realizzare il compito o lo scopo in cui è impegnata, sono molte le persone che soffrono di disturbi d’ansia.
Queste persone di solito hanno pensieri o preoccupazioni ricorrenti che li spingono ad evitare determinate situazioni, spesso con il timore di essere sopraffatti da sintomi fisici come sudorazione, tremori, vertigini o battito cardiaco accelerato.
La sensazione di agitazione, l’apprensione e i pensieri relativi a ciò che potrà accadere possono rivelarsi eccessivi per durata, intensità e frequenza rispetto alle reali probabilità che ciò che è temuto effettivamente accada, giustificando quindi la scelta di evitare la situazione temuta. Pertanto, in alcune circostanze l’ansia induce a mettere in atto risposte inappropriate, non adattative e disfunzionali.
Di fatto, quando il sentimento di apprensione, inducendo uno stato costante di ipervigilanza, si traduce frequentemente in intenzioni e azioni di anticipazione e controllo della realtà temuta, ci troviamo di fronte ad un’ansia patologica.
In questi casi la preoccupazione o i sintomi fisici creano disagio clinicamente significativo, evidenziabile nella compromissione del funzionamento della vita in ambiti come quello lavorativo o scolastico e relazionale.
Ansia e insoddisfazione
Non dobbiamo mancare però di sottolineare che l’ansia è un’emozione che può non essere chiaramente collegata ad uno stimolo specifico. Per ciò è spesso vissuta come una generica attivazione corporea o un senso di allerta generale. E’ il caso stesso in cui l’ansia è avvertita secondariamente ad altre emozioni che per questo risultano meno riconoscibili e identificabili.
In questi casi consideriamo l’ansia un’emozione secondaria perché ci sentiamo ansiosi quando abbiamo emozioni indesiderate come paura, rabbia, vergogna o tristezza. Di tali emozioni e delle circostanze che le hanno generate vorremmo forse fare a meno, ma ciò non sempre è in nostro potere. Gli stati emotivi emergenti dall’incontro con il mondo possono quindi avere un significato ulteriore di minaccia.
Infatti, le persone ansiose di solito sentono che non dovrebbero essere ansiose: sono arrabbiate con se stesse per il fatto di scoprirsi “deboli” o per aver bisogno di aiuto. Sono convinte che se si impegnano di più le cose andranno meglio. Ma impegnarsi di più spesso significa alzare l’asticella dello standard di “successo” da raggiungere.
Quando siamo ansiosi stiamo cercando di controllare le cose: come ci sentiamo, cosa pensano le persone di noi, come stanno andando i risultati da raggiungere nelle nostre vite.
Quindi, cerchiamo di riprendere il controllo: infiliamo troppe cose da fare in agenda; stabiliamo sempre nuovi obiettivi; siamo sovraccarichi di informazioni; non riusciamo a stare fermi e non dormiamo abbastanza; cerchiamo stimoli costanti attraverso l’intrattenimento, il rumore, l’attività eccessiva, l’adrenalina o la caffeina.
La condizione di ricerca del controllo si accompagna quindi ad un pungente sentimento di insoddisfazione della propria vita che a sua volta innesca automatismi disfunzionali.
Eccone alcuni:
- Non stabilire o rispettare i limiti e i confini
- Criticarsi in modo severo
- Aumentare il controllo
Se riconosci questi tre meccanismi, potrai riconoscere anche la fonte di disagio o stress aggiuntivo. Interrompere questi automatismi è possibile poiché è possibile coltivare compassione verso se stessi, imparando progressivamente a confortarsi con parole gentili, apportando modifiche al modo in cui rispondiamo alle emozioni.
Come?
Iniziando da subito a riconoscere quando le tue azioni sono volte a che qualcosa avvenga necessariamente; quando ti impegni per piacere a tutti i costi a qualcuno, quando ti sforzi perché le cose vadano bene per tutti.
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