Quando i figli rischiano di ereditare le ansie dei genitori

Quanto i genitori sono consapevoli delle proprie paure e delle proprie ansie? E quanto sono consapevoli di passarle ai figli attraverso il proprio comportamento, in molte circostanze in cui la percezione del rischio è soprattutto soggettiva?
Sono numerosi gli psicologi (APA – American Psychological Association) a ritenere che quando un genitore è in grado di riconoscere e valutare ciò che lo spaventa o che lo preoccupa, egli sta già riducendo il rischio che il proprio figlio possa sviluppare ansia o paura per qualcosa di simile.
Ma qui arriva il bello. Le nostre paure sono spesso irrazionali e i motivi che ci tengono in ansia non sempre sono ben messi a fuoco!
Quando si è genitori, sembra banale dirlo, è necessario aumentare la conoscenza di sé e la propria consapevolezza emotiva. Questo permette di dare un nome a ciò che spaventa o preoccupa di fronte ai propri figli e di articolare il proprio stato emotivo. In questo modo i bambini non solo amplieranno il loro lessico riguardante le emozioni ma impareranno che quelle negative, anche se ci fanno star male, possono essere gestite.
Un articolo di qualche giorno fa che, se vorrete, potrete leggere qui, oltre alle indicazioni che ho riassunto brevemente, riporta la divertente esperienza di una madre ancora non molto consapevole. La madre in questione, una psicologa professionista, racconta di avere avuto da adolescente una certa preoccupazione legata al bisogno di essere popolare e di avere molti amici. Una volta diventata adulta e madre di un bambino, ha cominciato a preoccuparsi, in modo forse eccessivo, di quanti amici avesse il figlio o se fosse ben voluto nel gruppo. Accadde un giorno che, vedendo il figlio al limite estremo del campo da gioco e notando che tutti i suoi compagni si trovavano dalla parte opposta, non resistette ad avvicinarsi preoccupata per chiedergli cosa stesse succedendo. Il figlio, molto candidamente, rispose che lui era il portiere e insieme agli altri stava giocando una partita di calcio.
L’episodio evidentemente comico ha fatto luce su una preoccupazione che non apparteneva affatto al bambino ma esclusivamente alla madre e di cui lei non era ancora ben consapevole.
L’articolo citato è di Debbie Carlson, giornalista del Chicago Tribune
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Studio di Psicologia Gordiani

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